Tasse su criptovalute: guida alla legge di bilancio 2023

Tasse su criptovalute: ecco la Legge di Bilancio

Tasse, dichiarazioni, fisco e criptovalute: un argomento difficile da affrontare non solo per il fatto di dover sostenere delle spese.

A fine 2022 è stata approvata la Legge di Bilancio 2023. Tra i vari temi, essa tocca e disciplina il settore crypto. Si tratta della prima legge italiana che prova a colmare il vuoto normativo con cui abbiano convissuto fino a oggi.

Chi detiene coin e token sa bene con che confusione ci si ritrovava a che fare: pronunce dell’Amministrazione, interpelli e pareri discordanti generavano un caos insostenibile.

Complice l’adozione crescente, negli ultimi anni l’attenzione sulle criptovalute è stata sempre maggiore. Ovviamente non ci riferiamo solo al tema regolamentazione ma anche a quello della tassazione.

La Legge di Bilancio 2023 conferma le procedure a cui eravamo abituati: quadro RW per il monitoraggio obbligatorio e tasse al 26% sulle eventuali plusvalenze. Vengono però introdotti diversi nuovi elementi, tra cui una franchigia da 2000€ sulle plusvalenze, la possibilità di rivalutare gli asset e delle sanzioni ridotte per chi non fosse in regola.

Ecco quindi un approfondimento per aiutarti a comprendere meglio i principali punti della nuova legge. Essendo tutto fuorché chiarissima, occorrerà comunque del tempo per poter disporre di informazioni più precise e non fuorvianti. Non preoccuparti: pubblicheremo nuovi aggiornamenti al bisogno, cosicché tu possa esserne sempre al corrente.

Addio a ricerche Google tipo “tasse crypto Italia” o “bitcoin tasse“: tutto quello di cui hai bisogno lo trovi qui. Se non vuoi perderti le notizie più importanti di ogni giorno, seguici anche sul nostro canale Telegram.

Iniziamo esplorando la definizione di cripto-attività, importantissima per poter capire quali asset sono interessati dalla legge.

Definizione di cripto-attività

La sezione della Legge di Bilancio 2023 inerente al mondo crypto ha inizio con l’Art. 31. Esso contiene diverse diciture che entrano a far parte del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, disciplinando la tassazione degli asset digitali in Italia.

Da subito si incontra il termine cripto-attività, la cui definizione è:

“[…]una rappresentazione digitale di valore o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la tecnologia di registro distribuito o una tecnologia analoga”

Questa dicitura è estremamente importante: se in precedenza si ricorreva alla parola criptovalute, limitandosi appunto a coin e token, con cripto-attività si va oltre. Di fatto, la tassazione potrà toccare appunto qualsiasi tipologia di asset digitale rientrante nella definizione, come ad esempio i Non-Fungible Token (NFT).

Ebbene sì: stando al testo, dovremo dichiarare tutto ciò che è in nostro possesso. Non solo: trattandosi di una legge dedicata al tema “tassazione criptovalute“, saremo tenuti a pagare le relative tasse ove dovute. Approfondiamo il tema.

“Il termine “cripto-attività” raggruppa tutti gli asset digitali su blockchain, non solo le criptovalute”

Plusvalenze e tasse su guadagni criptovalute

Innanzitutto vediamo quali sono le fattispecie rientranti nel termine plusvalenze su criptovalute e tasse.

Il comma c-sexies, contenuto nella Legge di Bilancio e inserito nel Testo Unico menzionato in precedenza, sostiene che:

“[…]le plusvalenze e gli altri proventi realizzati mediante rimborso o cessione a titolo oneroso, permuta o detenzione di cripto-attività”

Ragionandoci, la chiarezza varia in base al caso. Ad esempio, è palese che la legge venga applicata se vi è conversione di una plusvalenza in valuta fiat. Se acquistassimo 1 ETH a 100€ e lo rivendessimo a 3000 (incassando euro), rientreremmo nella casistica.

Al contrario, alcuni termini generano confusione: eliminiamola. Quali sono gli “altri proventi”?
Ebbene, tra questi rientrano attività come lo staking e lo yield farming: generando reddito, diventano soggetti a tasse.

L’aliquota sulle plusvalenze resta al 26%. La stessa percentuale si applica ovviamente anche agli altri proventi. Nessun aumento alle tasse su criptovalute, come molti invece temevano.

Restano poi escluse le imposte dovute alle plusvalenze teoriche. Perciò, se anche avessimo aperta una posizione con 100.000€ di plusvalenza, potremo stare tranquilli fintantoché non andremo a chiuderla e convertirla in fiat.
Attenzione a quanto appena detto: è sufficiente la conversione per creare una fattispecie fiscalmente rilevante. Per esempio, se convertissimo 1 BTC in Euro, lasciando tutto su Binance, sarebbe comunque un fatto tassabile.

Resta ovviamente obbligatorio il monitoraggio fiscale.

La Legge di Bilancio ci fa salutare la famosa soglia di 51.645,69€, utilizzata dall’Agenzia delle Entrate non senza qualche perplessità. Infatti, assimilare le criptovalute alle valute estere è errato, come sostenuto anche in sede europea. La motivazione sta nel fatto che le crypto non hanno né sede fisica né riconoscimento; non sono quindi simili alle valute estere.

La nuova legge provvede a sistemare questo punto introducendo una franchigia pari a 2000€.
Per farla molto semplice, le plusvalenze inferiori ai 2000€ non saranno soggette a imposta in quanto fiscalmente non rilevanti.
Al contrario, le plusvalenze che supereranno la franchigia ci obbligheranno a pagare quanto dovuto, nella misura del 26%.
Per essere totalmente chiari: la franchigia è riferita all’anno solare e non alla singola operazione.

Il testo specifica che “Non costituisce una fattispecie fiscalmente rilevante la permuta tra cripto-attività aventi eguali caratteristiche e funzioni”.
Ovviamente, questo passaggio genera confusione: quali sono le caratteristiche e funzioni prese in considerazione?
Indagando più a fondo e basandoci su quanto riferito direttamente in Parlamento:

  • I movimenti crypto-crypto non sono fiscalmente rilevanti. Esempio: vendo bitcoin e compro Ethereum, vendo Matic e compro BNB.
  • Acquistare un NFT con una coin o un token diventa fiscalmente rilevante.
  • In generale, al momento sembra che il mondo crypto sia stato distinto in quattro categorie: currency token, utility token, NFT e security token.
    Le conversioni all’interno di una categoria non sono fiscalmente rilevanti. Invece, quelle operate tra categorie differenti lo diventano.
  • Le stablecoin sembrerebbero essere nel gruppo currency ma aspettiamo MiCA e pronunce per averne la certezza.

Riassumendo:

  • La nuova Legge ha valenza su tutti gli asset digitali che sfruttano la blockchain o tecnologie simili.
  • La plusvalenza che resta nel mondo crypto (es. hold di BTC) non costituisce una fattispecie fiscalmente rilevante.
  • I movimenti crypto-crypto non sono rilevanti. Spostandoci di categoria (es. da crypto a NFT) lo diventano.
  • Plusvalenze convertite in fiat currency (anche senza prelievo da exchange), spese per acquistare beni o servizi e simili sono invece rilevanti, purché superino la franchigia di 2000€.
  • Resta l’obbligo di dichiarazione, su cui torneremo a breve.
  • Le minusvalenze superiori ai 2000€ possono essere dedotte esclusivamente sulle plusvalenze di cripto-attività. Si inizia con l’anno corrente, portandole eventualmente nelle dichiarazioni successive fino a 5 anni.

“Seppur vengano definiti diversi punti, saranno fondamentali le pronunce per dissipare ciò che è poco chiaro”

Quadro RW confermato per le tasse su criptovalute

Confermato l’obbligo di dichiarare le criptovalute in nostro possesso, anche se non è stata fatta alcuna conversione e/o cash out.

La nuova Legge di Bilancio introduce delle modifiche alla L. n.227 del 4 agosto 1990: da “attività estere di natura finanziaria ovvero cripto-attività”, il primo periodo dell’articolo 4 comma 1 diventa “attività estere di natura finanziaria ovvero cripto-attività”; da “e delle attività estere di natura finanziaria”, il secondo periodo cambia in “delle attività estere di natura finanziaria e delle cripto-attività”. Tradotto: l’obbligo di dichiarazione trova una vera e propria legge a sostegno.

Le cripto-attività si sganciano dagli altri asset e diventano un mondo a parte.

Come suggerisce il nome, il monitoraggio ha la funzione di tenere controllato l’ammontare complessivo degli asset detenuti da una soggetto.

Il quadro RW si compila durante la dichiarazione dei redditi. I professionisti si stanno affacciando sempre più alle criptovalute; potrebbe comunque essere arduo trovare un commercialista che padroneggi tutto ciò che il mondo crypto ha da offrire.

Nel quadro RW viene dichiarato il valore iniziale delle nostre cripto-attività e quello finale, al 31/12.

In caso di plusvalenza, se non è stata effettuata alcuna conversione, stiamo tranquilli: non dovremo pagare alcuna imposta.

Con “valore iniziale” intendiamo due aspetti distinti ma sommabili:

  • Se deteniamo crypto già dagli anni precedenti, dovremo dichiarare il loro valore al 1 gennaio di quello in corso.
  • Al punto precedente si aggiungono i prezzi di carico di qualsiasi acquisto di cripto-attività durante l’anno.

Utilizziamo due esempi per capire meglio il concetto:

  1. Non detengo alcun asset crypto. Durante il 2023 acquisto 1000€ in bitcoin (BTC) anche in più operazioni. A fine anno il valore sarà di 1500€.
    Valore iniziale da dichiarare: 1000€; valore al 31/12: 1500€. Non c’è nulla da pagare.
  2. Ho chiuso il 2022 con cripto-attività per un valore di 2000€. Durante il 2023 acquisto 1000€ in Ethereum (ETH). Al 31/12, il valore complessivo sarà di 4000€.
    Valore iniziale: 2000+1000 = 3000€; valore al 31/12: 4000€. Non c’è nulla da pagare.

Fondamentale fornire dati corretti per evitare eventuali problemi. Ecco perché è di primaria importanza tenere tracciati tutti i movimenti effettuati, acquisti e vendite, nonché i prezzi di carico.

In queste righe abbiano utilizzato termini come “crypto” e “criptovalute“. Attenzione però alla nuova dicitura “cripto-attività” introdotta dalla legge: dovremo dichiarare il valore di tutti gli asset digitali in nostro possesso, non solo quello di coin e token.

Sorgono però dubbi più che leciti. Ad esempio, come possiamo determinare il valore di un NFT? Data la sua unicità, siamo in grado di indicare il valore iniziale (che può essere il prezzo di acquisto) ma non quello finale.

Aspettiamoci diverse pronunce atte a fare chiarezza; così com’è, la legge genera un po’ di confusione.

Infine, la normativa prevede la possibilità per exchange e servizi CeFi di diventare sostituti d’imposta. In questo modo, l’utente non dovrebbe più dichiarare nulla né preoccuparsi delle tasse: sarebbe il broker a occuparsi di tutto, esattamente come accade per il trading classico mediante una banca.

Probabilmente, negli anni a venire assisteremo a una crescita delle CeFi sostituti d’imposta, così da favorire l’afflusso di nuovi clienti.

“Quadro RW confermato per tutte le cripto-attività possedute”

Rivalutazione cripto-attività

Questo passaggio è interessante per coloro fossero entrati nel mondo crypto da parecchi anni.

La nuova normativa permette di rivalutare i propri asset pagando un’imposta del 14% sul totale.

La procedura è da effettuarsi entro fine giugno (scadenza per il pagamento). La rivalutazione si basa sul valore degli asset in data 1 gennaio 2023.

A chi potrebbe interessare? Probabilmente solo a coloro che acquistarono a poco e tuttora si ritrovano con un’importante plusvalenza (teorica).

Occhio quindi a chi su internet ha fatto circolare la fake news “aliquota per le tasse crypto al 14%” perché non è assolutamente così.

“L’aliquota per le tasse crypto è del 26%, non del 14 come circola in rete”

Mancato monitoraggio crypto: sanzione dello 0,5%

Novità per coloro che non avessero dichiarato le proprie criptovalute nel quadro RW alla data del 31/12/2021.

La Legge di Bilancio introduce una sanzione ridotta per regolarizzare la propria posizione, pari allo 0,5% del totale. Questa percentuale si applica ovviamente a ogni annualità omessa.

In questo modo, chiunque avrà la possibilità di sistemarsi senza dover spendere una cifra troppo elevata.

La sanzione agevolata allo 0,5% riguarda solo coloro che non hanno mai messo a monitoraggio le proprie coin, senza conversioni e cash out.

Chi invece avesse effettuato degli acquisti di beni e servizi, oppure delle conversioni (anche senza prelievi) in valuta fiat (euro, dollari…) dovrà sostenere una spesa maggiore ma comunque contenuta. Ne parliamo nel paragrafo che segue.

“Per chi non avesse mai dichiarato le proprie criptovalute, arriva la sanzione ridotta dello 0,5% sul totale per ciascun anno omesso al monitoraggio”

Mancato pagamento tasse crypto: sanzione del 3,5%

Hai effettuato una conversione in fiat con plusvalenza prima del 31/12/2021? Non l’hai dichiarata? Ci sono novità.

Il nuovo testo normativo stabilisce che ci si possa mettere in regola pagando un’imposta sostitutiva del 3,5%.

A questa si deve aggiungere anche lo 0,5% per il mancato monitoraggio fiscale, come descritto in precedenza.

Insomma, con il 4% si regolarizza la propria posizione e si eliminano tutti i pensieri. Bisogna però prestare molta attenzione.

Così com’è scritta, la legge genera non pochi dubbi.

Innanzitutto, la “sanatoria” è valida esclusivamente per quanto riguarda il fisco; eventuali procedure penali potrebbero comunque avere luogo.

Non essendoci una prassi consolidata, uscendo allo scoperto ci si espone totalmente senza avere un’idea di quello che ci aspetta.

In aggiunta, il 3,5% si applica sul totale dei fondi detenuti, non sulla plusvalenza omessa. Potrebbe non essere conveniente e si dovrebbero fare attenti calcoli prima di procedere.

Messa in questo modo, la “sanatoria” potrebbe essere sfruttata da un ristretto numero di persone. Per tutti gli altri, forse è meglio attendere i chiarimenti che non tarderanno ad arrivare. La stessa osservazione vale anche per il solo monitoraggio.

“La nuova legge introduce un’imposta sostitutiva del 3,5% ma attenzione: non c’è alcuna prassi consolidata”

Imposta di bollo sulle crypto

Giungiamo a uno dei punti più tragicomici dell’intera Legge di Bilancio: le cripto-attività saranno soggette al pagamento dell’imposta di bollo del 2 per mille, come già avviene per le attività estere.

Questo punto ha generato parecchie perplessità tra gli addetti ai lavori. Probabilmente il legislatore ha voluto introdurre questa spesa solo per un motivo: aumentare il gettito e le entrate fiscali.

Perciò, ogni persona che detiene criptovalute, NFT e simili dovrà versare annualmente un’imposta di bollo del 2 per mille di quanto detenuto.

Modalità e tempistiche non vengono definite nel testo. Possiamo immaginare che la prima scadenza sarà fissata al 30 giugno 2024: c’è ancora parecchio tempo.

“La Legge introduce un’imposta di bollo del 2 per mille sulle cripto-attività detenute”

Tasse su criptovalute: onere di prova

Da sempre motivo di preoccupazione è l‘onere di prova a carico del contribuente.

La nuova Legge non specifica nulla a riguardo. Ricordiamoci però che in caso di bisogno, saremo noi a dover fornire documenti e chiarimenti alle autorità.

Ciò di cui siamo certi è che il contribuente deve dichiarare le cripto-attività in proprio possesso senza dover allegare alcuna documentazione. Vale lo stesso discorso in caso di plusvalenze con relativa conversione in euro o cash out.

L’Agenzia delle Entrate non ha ancora a disposizione un software in grado di tracciare i movimenti su blockchain. Perciò, è difficile contestare quanto affermato dal contribuente. Ciò non significa che si è liberi di fare ciò che si vuole, anzi: è indispensabile muoversi nella maniera corretta per evitare problemi.

Ai fini dell’antiriciclaggio, gli exchange possono fornire delle rendicontazioni alle autorità. Si presume che l’AdE possa utilizzare questi dati per verificare i movimenti di uno specifico contribuente. Tuttavia, essi non sono completi come si tende a pensare.

In caso di controllo, per essere nelle migliori condizioni, sarebbe ideale disporre di prove da poter fornire, così da scongiurare qualsiasi complicanza.
Perciò, scattiamo degli screenshot con i saldi dei nostri wallet e la data a inizio e fine anno, scarichiamo i report degli exchange e teniamo traccia tramite un documento excel di tutti i movimenti. Saremo più tranquilli nel caso l’Agenzia dovesse bussare alla nostra porta.

I documenti più significativi sono però le ricevute di bonifici o movimenti verso/da exchange. Se dichiarassimo di aver acquistato 1000€ in bitcoin, dovremo poter dimostrare l’operazione. Già così ci metteremmo in ottima luce.

Dopodiché, i vari movimenti compiuti nel mondo crypto sono dimostrabili solo con file CSV, nostri documenti excel e screenshot. Non esistono altre prove: questo è il limite.

Fornendo le ricevute bancarie e corredandole di CSV/screenshot chiari non dovremmo perciò avere problemi. Poi dipende da caso a caso, purtroppo per adesso è ancora così.

Quanto appena consigliato non è obbligatorio ma probabilmente già lo facciamo: il monitoraggio del proprio portafoglio di investimento consiste in questo.

Rispondiamo ora a qualche domanda emersa nella recente live con il Dott. Avella, professionista specializzato sul tema fiscalità crypto.

“Conserviamo ricevute, file CSV degli exchange, fogli di calcolo e screenshot: saranno utili in caso di controllo”

Il cashback implica tassazione? E un airdrop?

Risposta breve: purtroppo sì.

Risposta approfondita: il cashback rientra nel comma c-sexies analizzato in precedenza; infatti, è da considerarsi un provento crypto.

Dovremmo quindi tenere traccia del valore dell’asset, cosa peraltro piuttosto difficoltosa.

Pensiamo a un cashback ottenuto tramite una delle card di Crypto.com.
CRO, la coin che riceviamo, varia di prezzo in continuazione. Quale valore dovremmo fornire in sede di dichiarazione? Quello di inizio giornata? Quello finale? Oppure quello corrispondente al momento di rilascio del cashback? Solo l’Agenzia delle Entrate potrà fornire risposta, dato che la legge non lo specifica.

Attenzione poi alla distinzione tra provento e plusvalenza.

Il provento è riferito al valore del cashback stesso: riceviamo 20 CRO che valgono in totale 2€, questo è il provento.

Se poi CRO dovesse raddoppiare di valore, i nostri 2€ diventerebbero 4. Convertendo in fiat o asset crypto di categoria diversa, la plusvalenza 4-2 = 2 sarà fiscalmente rilevante.

Vale comunque la solita franchigia da 2000€, sotto cui nulla è dovuto.

Per quanto riguarda gli airdrop, stesso discorso, così come per lo staking e il farming: si ottiene del valore e rappresentano dei proventi fiscalmente rilevanti.

Nel video a fine articolo affrontiamo dettagliamente la questione, discutendo delle difficoltà che alcune casistiche potrebbero portare. Non farti spaventare dalla lunghezza: i capitoli ti aiuteranno a trovare ciò che stai cercando.

“Cashback, airdrop e staking sono da considerarsi proventi, soggetti quindi a tassazione”

Il mining non in regime d’impresa è tassabile?

Ricevendo delle criptovalute in cambio di una propria prestazione, il mining sembrerebbe essere soggetto a tassazione in quanto provento.

Secondo diverse letture, potrebbe essere tassabile come cessione a titolo oneroso.

Occorre però attendere una pronuncia dell’Agenzia delle Entrate perché vi è incertezza.

ISEE e crypto: cosa fare?

Al momento non vi è una risposta sicura.

L’ISEE ha le proprie regole e nessuna di esse fa riferimento alle criptovalute.

Però, il buonsenso suggerisce di includere le cripto-attività nella dichiarazione ISEE, riportando quanto scritto nel quadro RW.

Si tratta di una prassi indicata da diversi professionisti, fra cui il Dott. Avella, ospite del video dedicato alla tassazione sulle criptovalute visibile a fine articolo.

Ora che c’è una legge sull’argomento, speriamo che anche le regole ISEE andranno fornire indicazioni più precise a contribuenti e commercialisti.

Fondi su CeFi fallite

I capitali andati persi perché depositati su exchange o altre piattaforme fallite, pensiamo a FTX, non sono effettivamente più in nostro possesso. Dovremo quindi smettere di riportarli in quadro RW.

Chiaramente, in caso di controllo dovremo fornire prove certe a sostegno della nostra affermazione. Riprendendo l’esempio di FTX, potremo mostrare i file CSV dell’exchange, corredati di qualche articolo giornalistico che riporta la notizia del fallimento. In questo modo ci saranno tutti gli elementi necessari a confermare quanto da noi affermato.

Attenzione però che non è sempre così facile, perché talvolta l’Agenzia delle Entrate potrebbe comunque sollevare delle perplessità. Insomma, il supporto di un professionista del settore è fondamentale nel caso fossimo soggetti a un controllo.

Proseguendo,  gli asset andati persi rientrerebbero teoricamente tra le minusvalenze. Però, nella pratica non sappiamo ancora se sarà effettivamente così.
La motivazione sta anche in questo caso nell’onere di prova: se non fossimo in grado di dimostrare al 100% che abbiamo perso dei fondi a causa del fallimento della piattaforma, probabilmente non riusciremo a sfruttarli come minusvalenza.

“I fondi andati persi a causa del fallimento di una piattaforma CeFi non vanno più dichiarati nel quadro RW”

Criptovalute e tasse: conclusioni

Non di rado ci ritroviamo a dire “poteva andare peggio ma pure meglio!”; anche in questo caso, pensiamo la stessa cosa.

La Legge di Bilancio introduce diverse norme atte a disciplinare la tassazione sulle criptovalute e asset digitali.

Da un lato c’è del buono: finalmente abbiamo a disposizione un set di regole che prova a chiarire un tema in precedenza privo di qualsiasi supporto. I binomi “bitcoin tasse” e “bitcoin fisco” non ci faranno più venire un forte mal di testa… almeno fino a un certo punto!

Finora, quadro RW, aliquote e affini si basavano esclusivamente su pronunce dell’Amministrazione, in primis l’Agenzia delle Entrate. Questo modus operandi generava confusione e portava i professionisti a interpretazioni differenti: da quelli che consigliavano di dichiarare e pagare le tasse a coloro che ritenevano non corretto seguire quanto stabilito dall’Agenzia, proprio perché non vi era una legge alla base.

Il nuovo set normativo ha però anche diversi aspetti negativi.

Innanzitutto, siamo ben lontani dalla chiarezza. Anzi, alcuni punti danno vita a un caos addirittura superiore al precedente. Dovremo quindi attendere pronunce e circolari ministeriali per disporre di informazioni più specifiche. Nulla di strano: una nuova legge richiede sempre del tempo per entrare a regime, limare i difetti e rodarsi.

Vengono poi introdotti degli obblighi che lasciano quantomeno perplessi. È il caso dell’imposta di bollo, al centro della polemica sin dal rilascio della bozza e purtroppo sopravvissuta.

Senza dimenticare la definizione di cripto-attività, in grado di abbracciare qualsiasi asset digitale su registro distribuito: dovremo davvero dichiarare (ed eventualmente pagare le tasse) sugli NFT? La legge dice “sì”.

Insomma, non possiamo certo dirci contenti. Vero, ora almeno c’è una base di partenza. Però, la legge riesce nell’impresa di rendere ancor più complesso ciò che già lo era.

Consoliamoci perché c’è chi sta sicuramente peggio: pensiamo al Regno Unito, dove anche le conversioni crypto-crypto sono soggette a tassazione.

In attesa di ulteriori sviluppi, su cui prepareremo materiali di aggiornamento, ci salutiamo con l’ultimo video dedicato proprio a Legge di Bilancio 2023 e tassazione crypto. Come anticipato in precedenza, ad aiutarci nell’arduo compito di capire meglio i contenuti delle norme, il Dott. Francesco Avella.

Buona visione!

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Tasse su criptovalute: guida alla legge di bilancio 2023

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